Lo conosciamo ormai da settimane come “virus cinese” o più scientificamente Covid-19, un nuovo ceppo di Coronavirus identificato a Wuhan, Cina, nel dicembre 2019. I sintomi, che nella maggior parte dei casi somigliano a un’influenza, nei casi più gravi possono indurre polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. L’organizzazione mondiale della Sanità dopo i primi casi e contagi in Cina a Wuhan sta lavorando con esperti, scienziati e autorità competenti per conoscere le cause di trasmissione del nuovo virus e le procedure di azione per governi e organizzazioni, oltre alla ricerca di un possibile vaccino. Resta comunque da risolvere il rebus di quali siano l’origine e la trasmissione del Covid-19.

Al momento molti studiosi ritengono che il contagio sia iniziato da serpenti selvatici, che in Cina sono venduti a scopo alimentare, ma che l’origine dell’infezione provenga dai pipistrelli. Ci sarebbe quindi stato un passaggio di specie dal pipistrello al serpente che ha di fatto contagiato l’uomo, come indica l’analisi genetica pubblicata sul “Journal of Medical Virology” dai ricercatori delle università di Pechino e Guangxi: lo studio è stato condotto su campioni del virus provenienti da varie località della Cina e da diverse specie ospiti. Sempre lo stesso articolo spiega che «il virus Covid-19 ha acquisito nuovi recettori che gli permettono di legarsi alle cellule del sistema respiratorio umano.»

I pipistrelli costituiscono un serbatoio naturale di oltre 100 altri virus tra cui Mers, Ebola, Sars, Hantavirus e il virus della rabbia. Possiedono però una risposta immunitaria innata molto efficiente nel contrastare le infezioni e un metabolismo accelerato legato alla capacità di volare, aspetti che consentono ai pipistrelli di ospitare virus che provocherebbero infezioni gravi e la morte in altre specie animali.

In un’intervista con la dottoressa Stefania Leopardi, veterinaria e ricercatrice presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), sulla plausibile connessione di coronavirus e pipistrelli da un punto di vista scientifico, si afferma che nonostante del Covid-19 si conosca ancora poco, pare che sia molto simile a quello della Sars, in cui la trasmissione era però avvenuta dalla civetta delle palme, come animale selvatico, per passare poi al pipistrello e arrivare infine all’uomo. Per il Coronavirus, invece si ipotizza la connessione tra pangolino e pipistrello; il primo è ormai giunto ad un passo dall’estinzione per l’uso eccessivo nella medicina tradizionale cinese e per la carne, e viene venduto spesso vivo nei mercati locali. Il secondo ha in corpo circa una cinquantina di virus, simili a quelli di Sars e di questo Covid-19. I pipistrelli a cui fa riferimento la studiosa sono quelli che in Cina vivono nelle grotte, e i mercati in cui si vendono molti animali selvatici vivi, diffusi in Cina e Oriente, potrebbero essere il luogo ideale per il contagio e la trasmissione tra questi animali. Ad ogni modo questi virus sono ancora molto difficili da studiare in vitro, per cui si parla solo di deduzioni e ipotesi.

Un salto di specie accaduto anche per l’Hiv e l’aviaria

Il virus dell’Hiv, responsabile per l’Aids, fece il primo salto di specie dalle scimmie all’uomo, diventando endemico per decenni, per poi esplodere in tutto il mondo negli anni Ottanta del secolo scorso. Tra le varie teorie ipotizzate sull’origine dell’Hiv la più plausibile e poi confermata è quella in cui esso sia derivato da mutazioni genetiche di un virus che colpisce alcune specie di scimpanzè africani, il Siv (Scimmian immunodeficiency virus) che ha un omologia genetica all’Hiv del 98%. L’infezione da Hiv sarebbe perciò una zoonosi, ossia una infezione trasmessa all’uomo da altre specie animali. Pare infatti che sia migrato dai primati probabilmente tramite cacciagione o riti tribali a causa del sangue infetto di questi animali. Il Siv sarebbe poi mutato nell’Hiv nel corso degli anni attraverso mutazioni genetiche. Infatti un gruppo di ricercatori dell’University of Alabama di Brimingham nel lontano 1999 era riuscita a identificare il Pan troglodytes troglodytes come la probabile specie sorgente dell’infezione per l’uomo. Per cui a causa dell’urbanizzazione, soprattutto durante il colonialismo, la diffusione del virus è passata da piccole comunità tribali dell’Africa all’Occidente e a tutto il resto del mondo.

Un altro fenomeno di zoonosi che ha avuto rapida diffusione anche in occidente è stata l’influenza aviaria ad alta patogenicità. L’H5N1, isolato nel 1997, è stato trasmesso da uccelli selvatici e pollame domestico, provocando problematiche respiratorie e la morte in persone a rischio, soprattutto appartenenti alla popolazione anziana della Cina orientale. Ma ancora prima, le tre pandemie del Novecento – la “spagnola” del 1918, che fece tra i venti e i cinquanta milioni di vittime, l’“asiatica” nel 1957-58, con 70mila morti negli Stati Uniti,  la “Hong Kong” nel 1968-69 che causò 34mila decessi sempre negli Usa, e la “suina” del 2009-10, sono state tutte causate da virus di influenza aviaria. Va però detto che sebbene i virus influenzali umani e aviari siano dello stesso tipo e famiglia, la trasmissione da animale a uomo avviene se ci si espone a contatto diretto con volatili ammalati o morti, superfici o feci contaminate, e consumando carni infette poco cotte.

Quanto incide la perdita delle nicchie ecologiche

Di recente il governo cinese ha deciso, come riporta la rivista Nature, di porre un freno al commercio di animali selvatici, usati a scopi alimentari, per la pelliccia e in medicina tradizionale. Tra le carni proibite, oltre a cani e gatti, è compresa quella del pangolino, già a rischio estinzione, e quelle di serpenti, tartarughe, rane e insetti. Indagini dettagliate hanno scoperto che, in Cina nel 2002, Sars-CoV è stato trasmesso dagli zibetti agli esseri umani e, in Arabia Saudita nel 2012, Mers-CoV dai dromedari agli esseri umani. Numerosi coronavirus noti circolano in animali che non hanno ancora infettato esseri umani. Ma si deve tener conto che a mano a mano che la sorveglianza migliora in tutto il mondo, è probabile che vengano identificati più Coronavirus. Contano certo le condizioni igienico-sanitarie, ma alcuni studiosi avvertono sulla relazione di contagio tra uomini, in particolare in zone dove c’è stata una perdita di nicchie ecologiche. Anche per questo, i paesi occidentali potrebbero veder aumentare i rischi di zoonosi, ovvero la trasmissione animale-uomo, a causa del riscaldamento globale. Un articolo di Nature Communications, dedicato a un modello di previsione della diffusione dell’Ebola, sostiene che «la diffusione di queste malattie dovute a zoonosi sia collegata alla distribuzione ed eventuale spostamento di specie ecologiche “ospiti” e la loro risposta alla conversione di terreni in insediamenti urbani e cambiamenti climatici». Le temperature del pianeta continuano a salire, gli ecosistemi cambiano; come conseguenza diretta molte specie sono soggette a migrare oppure si creano le condizioni ottimali per la proliferazione di virus e batteri, in particolare quelli principalmente responsabili delle zoonosi.

Un altro aspetto riguarda il comportamento umano, poiché i mutamenti climatici e la necessità di trovare cibo possono indurre le popolazioni ad addentrarsi in aree naturali vergini e aumentare le possibilità di contatto con specie selvatiche. Una dinamica che si intensifica a seguito della trasformazione del clima, ma anche per i processi economici che spesso impoveriscono ampie fette di popolazione, sostituendo coltivazioni intensive là dove era possibile un’agricoltura di sussistenza. E sebbene i virus facciano parte della vita del pianeta, si dovrebbe riflettere su quanto il rapporto tra uomo e natura abbia un peso specifico nella loro diffusione e recrudescenza.