Alla fine, stringi stringi, la questione è una sola: non essere rilevanti può fare davvero tanta paura. Ma sforzarsi troppo di esserlo può farti apparire come quei quarantenni che si vestono coi pantaloni larghi e vanno ai concerti trap, o si scattano foto in Sardegna con hashtag improbabili per il loro profilo Instagram.

Gli Oscar hanno questo problema: da un po’ sono sempre meno rilevanti. Ogni anno gli indici di ascolto della cerimonia si abbassano un po’ di più, corrosi dall’eccessiva durata e da un’idea di spettacolo ormai sorpassata. Ecco perché, negli ultimi mesi, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences si è fatta prendere da un discreto attacco di panico. Il quale si è tradotto prima nell’annuncio di una nuova categoria, quella dell’Oscar al film popolare. Poi nella decisione di premiare alcune categorie (e neanche poco importanti, parliamo di miglior fotografia e montaggio) durante gli stacchi pubblicitari, per stringere i tempi e stare sotto le tre ore.

Un’immagine tratta da “Roma” di Alfondo Cuarón

Tutte decisioni – poi prontamente ritrattate – che hanno scatenato ondate di indignazione tra il pubblico (perché distinguere tra film di serie A e B?) e le gilde professionali, furiose per la discriminazione. Nel frattempo, la cerimonia ha anche perso il suo presentatore, Kevin Hart, ritiratosi in seguito alla diffusione di alcuni suoi tweet omofobi.

Restare rilevanti, nel 2019, significa anche intercettare i cambiamenti della società. L’Academy ha capito la solfa da tempo: dopo le polemiche della serie #OscarsSoWhite, ha rinnovato il corpo degli iscritti puntando sulla diversità, etnica e di genere. La grande beffa degli Oscar 2019 – in generale effettivamente molto inclusivi – sta nella vittoria di Green Book come miglior film. Un film su un’amicizia interraziale nell’America razzista degli anni ’60, scritto, diretto e voluto da bianchi. Spike Lee non ci ha fatto una grande figura a rosicare dopo la vittoria del film contro il suo BlacKkKlansman, arrivando a minacciare di uscire dalla sala. Ma, quando ha paragonato Green Book ad A spasso con Daisy, ha centrato il cuore del problema con grande lucidità. Nella sua corsa a restare rivelante, l’Academy ha inspiegabilmente fatto tutto il giro ed è tornata indietro a un’era in cui i bianchi facevano i film su quanto era brutto il razzismo ma non li lasciavano fare ai neri. È la versione etnica del mansplaining. Il whitesplaining.

Va detto anche che la vittoria di Green Book come miglior film assomiglia tanto a quella de Il caso Spotlight di qualche anno fa. Quando Mad Max: Fury Road fece incetta di premi, ma, siccome era un film dove la gente si inseguiva con le auto truccate nel deserto e uno aveva una chitarra elettrica che sparava fiamme, non stava bene che vincesse come miglior film nonostante la netta supremazia tecnica (miglior montaggio, scenografie, costumi, trucco, montaggio sonoro, missaggio sonoro). E così l’Academy si giocò il jolly inattaccabile. Politico.

Rami Malek in “Bohemian Rhapsody”

Ecco, forse il problema è che gli Oscar somigliano sempre meno a una cerimonia in cui si premiano i film migliori e sempre più a un evento politico. A te do la miglior regia, ma non mi tocchi i giusti temi quindi stai al tuo posto. Spotlight sta a Mad Max come Green Book sta a Roma. Il film di Alfonso Cuarón ha incassato tre premi: miglior film straniero, regia e fotografia (anche questa di Cuarón). Ma l’Oscar al miglior film doveva vincerlo qualcun altro, ché non sia mai che lo diamo a Netflix.

E meno male che questo “qualcun altro” non è stato Bohemian Rhapsody. Il biopic sui Queen, probabilmente il peggior film dell’anno scorso, ha vinto più Oscar di tutti. Quattro: miglior attore protagonista (Rami Malek), montaggio, montaggio sonoro, missaggio sonoro. Un giorno, tra qualche anno, ci sveglieremo tutti e ci chiederemo per quale ragione questo compitino senz’anima ci abbia stregato tanto a lungo.

Oh, comunque almeno la serata è durata meno.

A seguire l’elenco completo dei vincitori degli Oscar 2019.

Miglior film
Green Book di Peter Farrelly

Miglior regista
Alfonso Cuarón – Roma

Miglior attore protagonista
Rami Malek – Bohemian Rhapsody

Migliore attrice protagonista
Olivia Colman – La favorita

Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali – Green Book

Migliore attrice non protagonista
Regina King – Se la strada potesse parlare

Miglior sceneggiatura non originale
Charlie Wachtel, David Rabinowitz, Kevin Willmott e Spike Lee – BlacKkKlansman

Miglior sceneggiatura originale
Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly – Green Book

Miglior fotografia
Alfonso Cuaron – Roma

Miglior colonna sonora
Ludwig Göransson – Black Panther

Miglior canzone
Lady Gaga, Andrew Wyatt, Anthony Rossomando, Mark Ronson – Shallow (da A Star Is Born)

Miglior film d’animazione
Spider-Man: Un nuovo universo di Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman

Miglior film straniero
Roma di Alfonso Cuaron

Miglior documentario
Free Solo di Jimmy Chin ed Elizabeth Chai Vasarhelyi

Miglior montaggio
John Ottman – Bohemian Rhapsody

Migliori effetti visivi
Paul Lambert, Ian Hunter, Tristan Myles, J.D. Schwalm – First Man

Miglior trucco e acconciature
Kate Biscoe, Greg Cannom e Patricia Dehaney – Vice

Migliori costumi
Ruth Carter – Black Panther

Miglior montaggio sonoro
John Warhurst, Nina Hartstone – Bohemian Rhapsody

Miglior missaggio sonoro
Paul Massey, Tim Cavagin, John Casali – Bohemian Rhapsody

Miglior scenografia
Hannah Beachler, Jay Hart – Black Panther

Miglior cortometraggio live action
Skin di Guy Nattiv

Miglior cortometraggio d’animazione
Bao di Domee Shi

Miglior cortometraggio documentario
Period. End of Sentence di Rayka Zehtabchi