Lo scorso 25 ottobre la sala convegni del Palazzo della Gran Guardia di Verona ha ospitato un incontro dedicato a Scipione Maffei, figura di spicco del pensiero economico e civile del Settecento.

L’evento, inserito nella seconda edizione di RelazionEXPO – Fiera delle Relazioni, e nel programma dell’Anno Maffeiano che ne ricorda i 350 dalla nascita, ha riunito studiosi, economisti, rappresentanti del mondo bancario e appassionati di storia per riflettere sull’eredità culturale e morale di un grande concittadino, ancora sorprendentemente attuale.

Il convegno, dedicato all’opera Dell’impiego del danaro, è una di quelle occasioni che riescono a unire storia, economia e umanità. Sul tavolo non ci sono numeri o grafici, ma idee, visioni, rischi, fede e libertà di pensiero. Maffei — scrittore, letterato e precursore dell’economia civile — torna a essere, per un giorno, un cittadino vivo della sua Verona, a partire dalla musica che ha accolto il pubblico in sala attraverso le note, scritte da Antonio Vivaldi, per l’opera pastorale La Fida Ninfa, di cui Maffei curò la stesura del libretto.

Un intellettuale scomodo

Il moderatore Riccardo Milano, docente di Economia Civile e Finanza Etica e cofondatore di Banca Etica, ringrazia i presenti, tra cui Marta Ugolini, assessora alla Cultura del Comune di Verona, e il dirigente scolastico del Liceo Classico Maffei di Verona, Roberto Fattore, e dà inizio alla giornata. Dopo una breve anticipazione del pensiero di Maffei sul significato dell’interesse, cede la parola a Luigino Bruni, economista e docente di Economia Politica alla LUMSA di Roma.

Il professore si addentra nell’opera Dell’impiego del danaro, pubblicato nel 1744, ricordando che costituisce un’opera fondamentale e che anticipa temi fondamentali per il pensiero di Antonio Genovesi. Maffei affronta usura, tasso d’interesse e mutuo vantaggio, ponendo al centro la dignità del povero e la responsabilità morale del creditore.

Il contesto storico era complesso: la Serenissima Repubblica di Venezia attraversava una fase di crisi, con un’etica commerciale e finanziaria arretrata e divieti religiosi sul prestito a interesse. Nel periodo della Controriforma i paesi cattolici, legati a regole teologiche rigide, restavano indietro rispetto ai vicini protestanti, più pragmatici e flessibili. Maffei comprese che il nodo del problema era teologico, non economico: la Chiesa condannava formalmente l’interesse, ma la realtà commerciale richiedeva soluzioni pratiche.

La pubblicazione del libro non fu semplice. L’anno successivo alla prima stampa, papa Benedetto XIV promulgò l’enciclica Vix Pervenit, ribadendo la condanna dell’usura ma concedendo eccezioni molto limitate. Tre importanti teologi — Concina e i fratelli Ballerini — scrissero opere contro Maffei, accusandolo di tradurre male e fraintendere le Scritture; tutto risiedeva nel comprendere i passi del Deuteronomio e del Vangelo di Luca, soprattutto il concetto del “Nihil Sperantes” al cap.6, che non doveva essere visto come “prestare senza sperare di ricevere in cambio”, ma “prestare senza far disperare il povero”.

Nel testo originale, infatti, era anticamente presente il termine pauper — il povero — che poi, purtroppo, venne eliminato nelle successive traduzioni latine, cancellando così proprio il riferimento fondamentale alla figura del povero. Scrive infatti Maffei: “Come si è potuto credere che se il Salvatore avesse voluto dire senza esiger frutto, avesse detto nihil sperantes? Ognuno vede che avrebbe detto nihil exigentes ovvero nihil lucrantes, non mai nihil sperantes, perché niuno ha mai parlato in tal guisa, l’usura, quale attualmente si impone, non essendosi mai detta speranza.”

La prima edizione del 1744 fu ritirata, e Maffei dovette affrontare un periodo di esilio nella sua casa di campagna a Cadalora, vicino Cavalcaselle.

Nonostante ciò, Maffei rimase coerente con la sua coscienza, pagando con l’esilio e la delusione, ma salvando la verità e l’onestà intellettuale. Come ricordato da Bruni, anche Genovesi e Muratori seguirono un percorso simile, affrontando scomuniche, critiche e difficoltà pur di difendere le proprie idee.

Tra mutuo vantaggio e rischio personale

A raccogliere il testimone è Beatrice Cerrino, docente della Scuola di Economia Civile. Il suo lavoro di ricerca sta riportando alla luce un testo lasciato nell’ombra, studiandolo con la passione di chi scava tra le pieghe del pensiero per ridare voce a un autore “vivo”. Verrà infatti pubblicata, grazie al sostegno della BCC Veneta, la prima edizione critica dell’opera di Maffei sul denaro e questo rappresenta il vero frutto dell’Anno Maffeiano.

“Nel trattato,” spiega Cerrino, “Maffei parla del mutuo come di un contratto giusto, dove entrambe le parti traggono beneficio. Non è un gioco a somma zero, ma una relazione di mutuo vantaggio.”

Non c’è nulla di astratto in queste parole: Maffei si inserisce nella lunga tradizione francescana dei monti di pietà e dei monti frumentali, strumenti che già nel Medioevo permettevano ai poveri di accedere al credito senza cadere nelle mani degli usurai. Il suo è un pensiero profondamente civile: prestare, sì, ma con moderazione, con umanità, con responsabilità.

Nel 1745 però arrivano le reazioni e le autorità veneziane vietano il libro. A seguito dell’enciclica di Benedetto XIV, che interviene concedendo una minima apertura nei confronti dell’interesse, Maffei pubblica nuovamente l’opera, ma aggiungendo il testo dell’enciclica nella parte iniziale del libro e in seguito viene confinato a Cadalora; da lì scrive a un amico: “Mi trovo in una valle strana, esiliato dalla città per ordine di un tribunale mortale. Dio perdoni chi mi ha dato questa lunga vacanza.”

Un’ironia amara, che rivela un uomo ferito ma non sconfitto. Dopo qualche mese, il Papa lo libera, e Maffei torna a Verona. Non smette di pensare, né di scrivere.

L’attualità del suo pensiero

Gli interventi di Bruni e Cerrino hanno voluto ricordare l’eredità di Maffei, dove la sua forza sta nel proporre un’economia che non divide ma unisce, che fa spazio alla reciprocità, alla fiducia e al dono. È un messaggio sorprendentemente moderno.

In effetti sembra che Maffei parli al nostro tempo, segnato da crisi finanziarie e solitudini sociali. La sua idea di “felicità pubblica” anticipa l’economia civile, quella che vede nel mercato non un’arena di competizione, ma una rete di relazioni, di mutuo vantaggio, di rispetto dell’altro.

Dal Settecento alle BCC: la finanza che serve il bene comune

Nel terzo intervento Romano Mion, membro del Consiglio di Amministrazione di BCC Veneta, sponsor della prima edizione critica dell’opera di Maffei, porta il pensiero di Maffei nel presente, tra casse rurali, banche di credito cooperativo e progetti di economia solidale.

“Le banche e le imprese”, spiega, “devono creare valore, non solo economico, ma anche sociale e umano”. Quindi il fine ultimo non deve essere l’arricchimento, ma il sostegno del territorio, della comunità, delle persone.

Le stesse riflessioni vengono proposte anche dall’ultimo intervento di Carlo Dellasega, vicepresidente della Fondazione Relazionèsimo, che, alla domanda del moderatore Milano “Cosa direbbe oggi Maffei sulle banche?”, risponde: “Oggi Maffei direbbe alle banche: potete prestare senza far disperare i poveri. Le cifre dei superprofitti bancari fanno riflettere: oltre 23 miliardi di utili nel 2024 per i cinque maggiori istituti italiani.” È giusto accumulare simili profitti? Cosa viene restituito alla comunità? Proprio in tempi di disuguaglianza, la lezione maffeiana torna a farsi urgente: il denaro può essere strumento di giustizia, non di dominio.

Un’eredità viva

Alla fine della giornata, uscendo dalla Gran Guardia, resta l’impressione di aver assistito a qualcosa che parla non solo del passato, ma anche del futuro. Maffei non era un economista di professione, ma un umanista che credeva nel valore delle relazioni, nel coraggio della libertà intellettuale, nella possibilità che la ricchezza possa essere condivisa.

A tre secoli di distanza, Verona lo celebra come un cittadino che aveva visto oltre il suo tempo: un uomo che, tra fede e ragione, tra diritto e comprensione, aveva capito che l’economia, come la vita,  ha senso solo se costruisce comunità.

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