È trascorso ormai un anno intero da quella terribile tragedia, un anno da quel fatidico giorno che ha segnato in modo indelebile la città di Verona, lasciando un segno profondo e duraturo. Quel 20 ottobre 2024 ha cambiato per sempre la vita di molte persone, modificando il corso delle loro esistenze in maniera irreversibile.

Cosa è accaduto

La mattina del 20 ottobre 2024, Moussa Diarra, giovane maliano di 26 anni, è stato ucciso con un colpo di pistola sparato da un poliziotto della Polfer di Verona. Il ragazzo, che sembrava vagare in stato di alterazione per le strade di Verona, urlava, prendeva a calci alcune vetrine e tornava nuovamente in stazione dove, pare, minacciasse con un coltello i poliziotti accorsi sul posto. Uno dei poliziotti ha impugnato la pistola e ha sparato tre colpi ad altezza uomo, uno dei quali è stato fatale per Moussa Diarra.

Nelle ore successive si inizia a parlare di Moussa come drogato, alterato da sostanze stupefacenti, e di Moussa come spacciatore. Qualcuno azzarda che ci fossero dosi di droga nei suoi pantaloni, si ipotizza addirittura che potesse essere un terrorista.

Tutto verrà smentito: dall’autopsia emergerà che non vi erano tracce di droga né alcol, e dalle altre verifiche risulterà che non aveva con sé stupefacenti né che fosse un terrorista. Queste verifiche smentiranno nettamente le associazioni razziste che vogliono far credere che un ragazzo africano, che si aggira nei dintorni di una stazione, sia uno spacciatore e drogato.

Quel giorno stesso viene emesso un comunicato congiunto tra Questura e Prefettura in cui si dichiara la presenza di immagini inequivocabili che mostrano il ragazzo mentre aggredisce il poliziotto. A quel punto, il poliziotto non avrebbe avuto altra scelta se non sparare, per legittima difesa.

Un comunicato che sembra una sentenza, che vuole Moussa Diarra unico colpevole senza indagini né processo, un caso da chiudere quel giorno stesso. Del resto, sembra un caso semplice: ci sono immagini delle telecamere e teorie superficiali che lo dipingono come drogato e spacciatore in cerca di guai.

Ma quando verranno smentite le teorie sulla droga, sarà smentito anche il comunicato. Si scoprirà, solo grazie alla pressione delle avvocate difensori di Moussa Diarra, Francesca Campostrini e Paola Malavolta, che quelle immagini non esistono. La telecamera più vicina risulterà spenta, quella sul tetto avrà la visuale coperta, e le altre saranno troppo distanti per fornire immagini chiare. Le immagini saranno comunque messe a disposizione dei tecnici per migliorarne la qualità.

Le anomalie sulle indagini

Ci sono voluti sei mesi prima che le immagini venissero messe a disposizione degli avvocati, ai quali è stato imposto l’obbligo del segreto investigativo su tutta la vicenda. Alle avvocate si aggiunge anche Fabio Anselmo, avvocato che ha seguito casi di persone uccise per mano della Polizia, come Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi.

“Non mi so spiegare il persistere di questo silenzio, all’inizio pensavo fosse solo per tre mesi; invece, durerà fino alla fine delle indagini. È la prima volta nella mia lunga attività professionale che avviene una secretazione degli atti così prolungata, è una limitazione per la difesa perché non abbiamo la possibilità di rilasciare dichiarazioni pubbliche”.

Una richiesta di silenzio che è un’altra anomalia in queste indagini. Un’anomalia che si somma a quella del comunicato congiunto tra chi deve indagare, la Prefettura, e chi è oggetto di indagine, la Questura. Un ulteriore anomalia è rappresentata da chi sta investigando: per la morte di Diarra è indagato un uomo della Questura, ma è la stessa Questura a svolgere l’investigazione.

Foto di Fabio Anselmo fornito dal Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra
Avvocato Fabio Anselmo da Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra

In merito, sempre Anselmo sottolinea che questa è una pratica che contraddice la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Secondo questa Convenzione, le indagini nei confronti dei membri delle forze dell’ordine devono essere svolte da terzi per garantire imparzialità.

Tra l’altro, 18 poliziotti della Questura di Verona sono indagati per torture nei confronti di persone straniere o senza fissa dimora, proprio come Diarra.

L’importanza della manifestazione e di tenere viva l’attenzione

“Moussa Diarra purtroppo è in lista d’attesa per essere dimenticato, sulla sua storia sta calando un silenzio che va verso l’oblio”

Queste sono sempre parole dell’avvocato Fabio Anselmo. Il silenzio è stato imposto dopo la nomina di un avvocato noto come Anselmo e prima della sua partecipazione a Presa Diretta, programma di inchiesta della Rai.

Un silenzio che sembra avere lo scopo di mettere a tacere l’intera vicenda per farla scivolare nell’oblio. Per questo è importante continuare a mantenere alta l’attenzione sulla questione. Per questo è fondamentale la manifestazione di sabato in occasione del primo anniversario della morte di Moussa.

Una manifestazione organizzata dalla Comunità Maliana in Italia e dal Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra, realtà impegnate a mantenere viva la memoria con eventi che raccontano chi fosse Moussa, cercando di smontare la narrazione tossica e razzista.

Una manifestazione per mantenere viva l’attenzione dopo la grande partecipazione dello scorso anno, durante la quale hanno preso parte oltre 5.000 persone.

Il momento del passaggio davanti la Questura di Verona durante la manifestazione dello scorso anno

Al corteo sarà presente anche la famiglia di Moussa Balde, il ragazzo della Guinea che si è suicidato nel CPR di Torino. Balde è stato rinchiuso, messo in isolamento ed è stato oggetto di violenze. Anche per lui è in corso a Torino un processo e la presenza della famiglia Balde a Verona ha un valore molto forte. Del resto le due storie si somigliano molto:

Sia Moussa Balde che Moussa Diarra hanno avuto un passato difficile: hanno attraversato il deserto, subito violenze nei lager libici, rischiato di annegare in mare. Entrambi sono stati schiavi del lavoro e hanno affrontato le file umilianti per ottenere i documenti. Hanno viaggiato in mezza Europa alla ricerca di una vita dignitosa, senza mai trovarla. Anzi, hanno vissuto un’esistenza insopportabile per qualsiasi essere umano, una vita che ha portato Balde a tentare il suicidio e Diarra a perdere il controllo una notte di ottobre, un anno fa.

Entrambi vittime di un sistema di accoglienza fallimentare, entrambi vittime di un razzismo strutturale che pervade le istituzioni e si trasforma in memorandum disumani, in condizioni di lavoro al confine della schiavitù e in molte altre sfaccettature di questa società. Questo ha ucciso i due Moussa

Il corteo

Il percorso del corteo

Per tutto questo è importante partecipare alla manifestazione sabato 18 novembre a Verona.

Il ritrovo è previsto per le ore 14 fuori dalla stazione di Porta Nuova a Verona, da lì partirà il corteo che proseguirà verso Piazza Bra per poi passare simbolicamente davanti al tribunale. Il tutto si concluderà tornando nel piazzale della stazione, proprio lì dove Moussa Diarra ha cessato di vivere.

Il giorno seguente, dalle 15, al Laboratorio Autogestito Paratod@s è previsto l’incontro e dibattito intitolato “Chiudere tutti i CPR“. Alle 19 andrà in scena lo spettacolo “Reietti – come creammo i CPR”, di e con Oscar Agostoni. Due momenti di riflessione sui CPR, a conclusione di un weekend dedicato a Moussa Diarra e a tutte le persone vittime dei CPR e di un sistema di accoglienza disumano.

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