Che siano nuovamente spareggi o una surreale qualificazione diretta, tra poco meno di un mese la Nazionale italiana di calcio scoprirà quale sarà la sua sorte in vista del Mondiale 2026. Ciò che è certo, però, è che mancare la terza qualificazione consecutiva per il campionato del mondo non è nemmeno lontanamente un’opzione da considerare. Rino Gattuso intanto fa quattro vittorie su quattro uscite come Commissario Tecnico, riportando un barlume di certezze (anche se meno sul modulo) che sembravano mancare addirittura da Euro 2020.

Un CT (fino ad ora) sempre vincente

16 gol in 4 gare, una squadra a trazione visibilmente anteriore e che ha stupito nel fare ciò che in passato abbiamo sempre evitato: le goleade. Estonia, Moldavia e Israele non saranno sicuramente avversarie temibili, ma le pressioni che mister Gattuso si è caricato sulle spalle, accettando l’incarico di CT dopo l’amara sconfitta con la Norvegia con Spalletti in panchina, potevano portarlo a rifugiarsi in ciò da sempre contraddistingue il calcio italiano: il più impenetrabile dei catenacci. E invece no. Perché paradossalmente, dopo anni di enormi difficoltà nello schierare una prima punta che risultasse prolifica, ci ritroviamo all’improvviso con quattro terminali offensivi capaci di incidere a rete, legare il gioco, ma soprattutto dialogare in coppia. Retegui (5 gol e 4 assist), Kean (4 gol), Raspadori (2 gol e 2 assist) e Pio Esposito (1 gol).

Da aggiungere alla lista lo sfortunato Zaccagni, ora indisponibile ma indiscutibilmente tra i leader tecnici della rosa, oltre che il più brillante nel creare superiorità numerica nell’uno contro uno, sia allargandosi che accentrandosi dentro al campo. E in entrambi i casi le punte sembrano muoversi a proprio agio. Con lui in campo l’Italia cambia volto, potendosi affidare alle giocate del singolo, cosa che qualunque nazionale di rispetto dovrebbe vantare. E nel caso degli azzurri, è legittimo affermare che tutto ciò, negli ultimi anni, è decisamente venuto meno.

In difesa, invece, si balla più del dovuto. Se Moldavia ed Estonia non hanno prodotto niente (e ci mancava anche), contro Israele, squadra con individualità elogiate da Gattuso stesso, i pericoli sono arrivati e hanno cinicamente colpito. Più all’andata che al ritorno, visti i risultati, ma ciò non toglie che anche nella gara di Udine di qualche giorno fa qualche brivido abbia percorso più volte l’intero Stivale. I riferimenti uomo su uomo sono spesso saltati, lasciando enormi spazi da contropiedisti che Israele si è presa.

Rino Gattuso. Foto dal sito della FIGC

Il dubbio sul modulo

L’Italia non riesce a fare a meno della difesa a 3. A differenza della pausa di settembre, in cui Gattuso aveva sorpreso rispolverando un’ormai datato 4-4-2, nelle gare contro Estonia ed Israele si è fatto un passo indietro, ritornando a privilegiare i braccetti e gli esterni a tutta fascia. Il reparto d’attacco deve mantenersi a doppia punta, e fin qui tutto bene, essendo che entrambi i moduli comportano lo schieramento di due terminali offensivi. Ciò che viene costantemente rivoluzionato con questi cambi di rotta è invece la difesa e, come detto prima, i quinti di centrocampo.

dal profilo Instagram @mateoretegui

Il dilemma non sta nella validità della qualità individuale degli interpreti, bensì nella loro cooperazione in un modulo rispetto ad un altro. Bastoni, Mancini e Di Marco nei loro club giocano da anni con una difesa a tre, mentre Calafiori e Di Lorenzo sono i rispettivi terzini titolari di uno schieramento a quattro.

Difficilmente uno che viene operato da anni come braccetto potrà adattarsi perfettamente in una difesa a doppio centrale, così come un quinto a tutta fascia che tende alla propensione offensiva faticherà a limitare le sgaloppate per indietreggiare in manovra. La dimostrazione è la partita di settembre contro Israele, in cui l’Italia si è schierata proprio a quattro: Bastoni e Mancini centrali, Di Marco terzino sinistro. Rimane però che, con la scelta di schierarsi invece a 3, si vadano ad eliminare completamente gli esterni di centrocampo, gli unici nella posizione di poter svariare e saltare l’uomo, con Zaccagni, Politano e Orsolini in pole.

Nel calcio odierno parlare di modulo risulta quasi vintage, perché alla fin fine lo schieramento in campo varia a seconda di chi detiene il possesso. Ipotizzando dunque un 4-4-2 sulla carta, l’Italia porterebbe Di Lorenzo, Mancini, Bastoni, Calafiori come linea di difesa, Politano, Barella, Tonali, Zaccagni nel mezzo, Kean, Retegui lì davanti. Calafiori in quel ruolo si trova a suo agio, è conservatore ma non rinuncia alle incursioni centrali, che andrebbero a favorire lo smarcamento di Zaccagni. L’Italia dunque, in fase di possesso, con un Calafiori che potrebbe alzarsi in manovra, scalerebbe gli altri 3 difensori, diventato a tutti gli effetti una difesa a 3: Bastoni nel suo ruolo prediletto di braccetto di sinistra, Mancini perno centrale e Di Lorenzo braccetto di destra, ruolo già ricoperto lo scorso anno. Un compromesso che accontenterebbe tutti ma senza svalutare nessuno.

Potenziali avversari ai play-off

Gattuso in conferenza ha definito “un lavoro da ingegnere nucleare” tentare di comprendere il funzionamento e le conseguenti avversarie sorteggiabili dei play-off di marzo. Non ha tutti i torti. Ad oggi la sola cosa certa è la qualificazione aritmetica per gli spareggi, mentre per quanto riguarda gli avversari resta da aspettare l’ultima pausa di novembre.

Il format di qualificazione prevede la partecipazione di 16 squadre suddivise in quattro percorsi: A, B, C e D. Ai playoff accedono le 12 seconde classificate dei 12 gironi di qualificazione e quattro squadre aggiuntive, scelte tra le vincitrici di girone della Nations League 2024-25 che non si siano già qualificate come prime o seconde nei rispettivi gironi di qualificazione.

Le quattro squadre di ogni “path” saranno divise in fasce, stabilite in base al ranking FIFA una volta terminata la fase a gironi. Fatto ciò, una squadra per fascia verrà sorteggiata per ogni percorso e da lì potranno finalmente cominciare i play-off. Prima con una semifinale, in gara secca, dove la sorteggiata di prima fascia affronterà quella di quarta, quindi di conseguenza la terza contro la seconda. Poi con la finale, anch’essa di sola andata, che decreterà le vincitrici di ogni mini-gruppo e dunque le ultime quattro presenti all’appello di Usa, Canada e Messico 2026.

Ad oggi le potenziali avversarie per l’Italia sono Irlanda del Nord, Svezia, Romania e Galles. Le prime due rievocano più di qualche incubo: l’Irlanda del Nord ci eliminò nel lontano 1958, segnando la prima storica mancata qualificazione ad un mondiale per gli Azzurri, mentre gli scandinavi si imposero nel 2017, non facendoci partire in direzione Russia.

Gabriele Gravina, presidente FIGC dal 2018

Le parole di Gravina

Il presidente della FIGC si è esposto in merito all’aritmetica qualificazione centrata con la vittoria contro Israele :La febbre mondiale c’è, ma è positiva, di quelle che danno stimolo ed entusiasmo. Non daremo la tachipirina ai nostri calciatori, vogliamo conservarla questa febbre.. Parole che, lette superficialmente, sembrano portar con sé un’approssimazione dell’ostacolo che la Nazionale dovrà affrontare. Da un lato è naturale reagire a questa dichiarazione storcendo il naso. Il rischio di non qualificarsi al Mondiale per la terza volta consecutiva persiste, e dunque dal presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, colui che rappresenta la Nazionale all’interno dei Palazzi, ci si dovrebbe aspettare più austerità.

Le parole sono, però, sempre frutto di una reazione ad un fatto che sussiste, e ciò che oggi sussiste è che gli Azzurri non possono più guardare dall’alto verso il basso le Nazionali di medio livello o manifestare superbia presunzione di fronte ad avversari storicamente inferiori. Conta il presente. Che sicuramente non ci sorride, ma nemmeno schernisce.

All’arrivo di Gennaro Gattuso il morale era sotto terra e la qualificazione sembrava quasi impossibile da raggiungere. Ma questo “mal di mondiale” si può curare solamente con l’innesco di tante piccole certezze, a partire dalla panchina, che con l’ex Milan ha riconsegnato ai tifosi l’impressione di un uomo determinato nell’obiettivo, cinico nelle confessioni, ma lucido nelle manifestazioni.

Attenzione, però: non serve trasformare un segnale di ripresa in un atto di fede. Anche una qualificazione al Mondiale non cancellerebbe d’incanto le radici profonde dei problemi che affliggono il nostro calcio. Servono riforme, visione e coraggio, non slogan o trionfalismi di stagione. Sarebbe un passo avanti, sì, ma non è il momento di buttare altra benzina sul fuoco.

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