Basta un nome per suscitare a Verona affetto ed evocare senso di appartenenza: Berto Barbarani. A centocinquant’anni dalla sua nascita, è stato infatti ricordato in città con molte iniziative, promosse dall’assessorato alla Cultura del Comune e da una mostra organizzata dalla Biblioteca civica.

Inaugurata sabato 3 dicembre, l’esposizione Barbarani 150. Berto Barbarani e la Verona del suo tempo (1872 – 1943) sarà visitabile fino al 1 aprile 2023 presso la Protomoteca. All’apertura erano presenti l’assessora alle Politiche educative e scolastiche Elisa La Paglia, la direttrice ad interim delle Biblioteche Margherita Bolla, e Maurizio Ravazzin, presidente e regista della Compagnia Renato Simoni, che ha declamato alcune poesie per i presenti, tra cui la notissima Voria cantar Verona.

Barbarani giornalista

La mostra, come ha spiegato Giovanni Piccirilli, curatore della mostra insieme a Monica Ghidoni, illustra la figura del poeta con alcune sue prime pubblicazioni, ma anche la sua opera di giornalista, sovente poco conosciuta sebbene sia durata trent’anni per Il Gazzettino, Il Garda e Almanacco veneto. Infine riporta testimonianze dei suoi rapporti con i contemporanei, come Renato Simoni, Angelo Dall’Oca Bianca, Lionello Fiumi, Giuseppe Silvestri, Gino Beltramini, Ugo Zannoni, Giuseppe Fraccaroli.

Tiberio Giacomo Roberto, questo il nome completo che si legge nel certificato di nascita, datato 3 dicembre 1872, esordisce come poeta intorno ai vent’anni, con i primi sonetti firmati con lo pseudonimo di Barbicane, su Can da la Scala. Rivista semiseria illustrata settimanale. Uno in italiano, La candela, e l’altro in dialetto veronese, Quando che fioca.

Cantore dei migranti veneti

E proprio sulla sua lingua, quel dialetto declinato in forma naturale e dolcissima, capace di farsi ascoltare da tutti, si è soffermato Gian Antonio Stella nell’incontro seguito in Sala Farinati della Biblioteca civica, dal titolo “I va in Merica. Berto Barbarani il cantore dei nostri migranti”.

É un fatto che Barbarani, ha dichiarato il giornalista, tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso sia stato molto conosciuto e apprezzato in Italia e ancora ci si domanda perché sia invece stato ignorato da Pier Paolo Pasolini e Mario Dell’Arco nell’antologia Poesia dialettale del Novecento (Guanda, 1952).

Alla popolarità seguì un’opera di rimozione culturale, ha ricordato Stella, iniziata già nel ventennio fascista e dovuta all’estensione dell’italiano a tutti i livelli, a discapito della produzione dialettale, in prosa e poesia. «Una scelta che Barbarani visse con sofferenza come una limitazione e la fine di un sogno», ha dichiarato l’editorialista de Il Corriere.  

Voce poetica dei poveri (che piaceva alla borghesia)

Eppure Barbarani, letto e amato dalla borghesia per le poesie che esaltavano le bellezze di Verona, i suoi angoli segreti e i resti di un passato importante, ha dato voce anche e soprattutto ai pitochi (I pitochi, 1896), a quella povera gente che viveva di stenti e che doveva, per necessità, emigrare da una regione in cui mancava il lavoro e la pellagra era diffusa.

Il testo della celebre poesia Vorìa cantar Verona

Stella ha citato i contemporanei Giovanni Pascoli ed Edmondo De Amicis, i quali scrissero pagine edificanti sull’emigrazione, ma I va in Merica di Barbarani è altrettanto un capolavoro assoluto di poetica sociale che dovrebbe, a suo parere, essere insegnato nella scuola. Lo sguardo del poeta veronese alla miseria, severo e tragico, le sue parole struggenti, lo rendono il più grande interprete delle sofferenze dei poveri.

Verona lo ricorda con una serie di iniziative che proseguiranno nel 2023, per valorizzare la sua opera nella città che ne custodisce la memoria.

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