Nel 1878 il chimico inglese Joseph Wilson Swan, con il brevetto della sua “lampada” a filamento di carbonio percorso da corrente elettrica, diede avvio a uno dei più interessanti sviluppi tecnologici di cui stiamo ancora beneficiando.

Prima di allora solo candele e lampade a olio.

L’anno seguente l’americano Thomas Edison brevettò una lampadina che, al contrario del modello Swan, manteneva una luminosità costante nel tempo. Iniziava così una delle più importanti e interessanti battaglie commerciali transatlantiche per lo sviluppo e dominio del mercato dell’illuminazione elettrica.

I loro prodotti presentavano ancora limiti e difetti, dopo quaranta ore il bulbo si anneriva e cessava di illuminare, ma il piacere di squarciare le tenebre con un click era troppo grande per darsi per vinti.

Il fatto poi che il mondo fosse al buio e non aspettava altro di essere illuminato consigliò ai due inventori di soprassedere alle dispute personali sulla paternità dell’invenzione e di unire le forze. Nel 1883 nacque la Edison and Swan Electric Light Company Limited allo scopo di cogliere appieno l’opportunità commerciale.

Ma non erano soli. 

Agli inizi del ‘900 il prodotto lampadina come dispositivo elettrico era ormai maturo per la commercializzazione di massa e agguerrita la competizione fra i già numerosi produttori.

Molti avevano intuito le potenzialità del nuovo mercato e intrapreso programmi di ricerca e sperimentazione finendo ognuno per proporre al mercato standard, forme e prestazioni, diversi.

Fra i tanti, per amor di patria, giova ricordare Alessandro Cruto di Piossasco, Torino. Figlio di un modesto capomastro, dopo aver assistito a una serie di conferenze tenute da Galileo Ferraris sui progressi dell’elettrotecnica, ideò una lampadina a luce bianca con un rendimento migliore rispetto a quella di Edison. Il suo prodotto riscosse un enorme successo all’Esposizione di Elettricità a Monaco di Baviera del 1882, tanto da indurre Cruto ad avViare nel 1886 una fabbrica per la produzione su scala internazionale. Non ebbe grande successo, morì nel 1908 pressoché dimenticato da tutti e la sua fabbrica nel 1927 venne rilevata dalla Philips.

Curiosa è invece l’invenzione di quella che verrà chiamata la “lampadina del centenario“. Prodotta dalla Shelby Electrics, accesa dal suo inventore Adolphe Chaillet nel 1904, continua ancora oggi  a brillare (poco per la verità) sorvegliata dai vigili del fuoco della città di Livermore, Ohio. Una durata pressocchè infinita.

Difficile produrre lampadine all’inizio del XX secolo

La rapida diffusione dell’elettrificazione e l’introduzione di nuove forme di illuminazione come lampade per biciclette, fari di automobili e lampioni hanno offerto opportunità quasi illimitate per inventori e imprenditori.

Ma nessuna singola azienda si sentiva sicura di vendite stabili da un anno all’altro.

Nell’anno finanziario 1923-1924, ad esempio, Osram (D) registrò un vertiginoso calo delle vendite tedesche a 28 milioni di lampadine dai 63 milioni dell’anno precedente. Non sorprende quindi che il capo di Osram, William Meinhardt sia stato il primo a proporre un accordo fra produttori.

Cartello Phoebus e obsolescenza programmata

Il 23 gennaio 1924 un gruppo di uomini d’affari, rappresentanti di quasi 30 aziende da tutto il mondo, firmarono a Ginevra la “Convenzione per lo sviluppo e il progresso dell’industria internazionale delle lampade elettriche a incandescenza”, formando il più esteso e influente cartello industriale del settore.   

I principali artefici furono William Meinhardt, CEO di Osram (D), Anton Frederik Philips, fondatore di Royal Philips Electronics (NL), Owen D. Young, Presidente della General Electric (USA) e Franjo Hanaman, fondatore di Tungsram (Ungheria).

Foto Collage da Wikipedia. I principali promotori del cartello Phoebus

Secondo l’accordo, i membri avrebbero condiviso i brevetti e il know-how, concordato quote di vendita, aree commerciali, prezzi e avrebbero deciso gli standard tecnici da adottare. Questa cooperazione portò, ad esempio, all’adozione dell’attacco Edison come standard universale, quello che ancora oggi utilizziamo.

Alimentati però dal desiderio di massimizzare le vendite e dalla volontà di mettere i profitti al di sopra di ogni altra cosa, il Cartello decise anche di imporre limiti alla durata di vita delle lampadine riducendola a 1.000 ore, rispetto alle 1.500-2.000 precedenti.

La minore durata del prodotto obbliga il consumatore ad acquistarlo più spesso, e alle industrie che aderivano all’accordo questo certo non poteva dispiacere.

Per controllare che i membri rispettassero le regole fu istituita la compagnia Phoebus, Compagnie Industrielle pour le Développement de l’Éclairage, da cui derivò il nome colloquiale del cartello. 

I produttori di lampadine di tutto il mondo, costretti a inviare regolarmente campioni ai laboratori di prova della compagnia Phoebus, non avevano altra scelta che limitare la durata dei loro prodotti. Se una singola lampadina del campione superava le 1.000 ore di vita, il suo produttore era costretto a pagare pesanti multe. Non era facile rispettare questo requisito tanto che molti dovettero investire parecchi denari in ricerca per ridurre le prestazioni delle loro lampadine e riuscire a centrare l’obiettivo.

Nel fabbricare con cura una lampadina con una durata di vita relativamente breve e predertimanta, il cartello ha così inaugurato la strategia industriale ora nota come obsolescenza programmata.

Eredità di Phoebus ed economia circolare

Questo accordo monopolistico, originariamente destinato a durare 30 anni, morì prematuramente nel 1939 con la dichiarazione della seconda guerra mondiale, i suoi membri appartenevano a nazioni nemiche.    

Purtroppo, l’eredità di Phoebus è sopravvissuta e vive ancora oggi in molti settori dell’industria. Con un modello di sviluppo economico lineare: “prendi-produci-usa-getta” nel più beve tempo possibile, l’obsolescenza programmata è uno degli strumenti utilizzati per massimizzare vendite e profitti aziendali. Molti prodotti infatti si rompono troppo velocemente, non possono essere facilmente riutilizzati, riparati o adeguatamente riciclati e molti sono addirittura monouso.

Questo modello è una delle principali cause di sovrasfruttamento delle risorse naturali, oramai incompatibile con la capacità rigenerativa del pianeta in cui viviamo.

Allarme rosso mondiale per la disponibilità di risorse e  per il livello di inquinamento ambientale.

Occorre invece accelerare la transizione verso un modello di crescita rigenerativo (Economia circolare) che fornisca prodotti di elevata qualità, funzionali, sicuri, efficienti mantenendo il consumo di risorse entro i limiti del pianeta. Prodotti che durano più a lungo, concepiti per essere riutilizzati, riparati e a fine vita riciclati.

Le risorse non sono infinite, diventa sempre più impellente imparare a programmare il prolungamento della fase “giovanile” dei prodotti.

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